Dai Pentatonix in 8D alla policoralità
Qualche giorno fa abbiamo ricevuto su Whatsapp un link al nuovo lavoro dei Pentatonix, registrato in 8D ascoltandolo in cuffia (condizione imprescindibile): la prima reazione è stata una diffusa sensazione di pelle d’oca. Il suono proveniva da dietro di noi, sopra, davanti… insomma, in qualunque posto ma sicuramente non (solo) dalle nostre cuffie. E’ la cosiddetta tecnologia 8D, più correttamente chiamata musica binaurale: il nostro cervello reagisce agli stimoli acustici che riceve e li traduce indicandoci la fonte del suono, ma in questo caso è tratto in inganno.
Che cos’è la musica 8D
Sulla spinta di videogiochi, cinema e realtà virtuale, negli anni si sono sviluppate numerose tecnologie per rendere, in cuffia, l’effetto di un ascolto stereofonico: il nostro cervello infatti riesce ad individuare la fonte di un suono e la direzione da cui proviene, pur avendo a disposizione due sole orecchie.
E’ sulla base di questo espediente che ci siamo salvati dalle bestie feroci quando eravamo degli scimmioni pelosi, ma è anche uno dei motivi che rendono l’ascolto di musica dal vivo molto coinvolgente.
La cosiddetta musica 8D, più correttamente chiamata registrazione binaurale, funziona in modo analogo: è una tecnica nata negli anni Settanta, in Inghilterra, a partire dagli studi del matematico Michael Gerzon, per dare al suono una caratteristica sferica, e viene chiamata anche per questo musica a 360°. Si basa su “una manipolazione di fase che consente al cervello di identificare da dove proviene il suono”, anche se in realtà il suono proviene solo dalle cuffie.
Si gioca infatti sulla percezione del suono.
Nulla di nuovo quindi? La policoralità e la percezione del suono nei secoli scorsi
Il luogo prediletto per i primi esperimenti di stereofonia sono stati i luoghi di culto, soprattutto nell’intonazione di canti da una parte all’altra della chiesa (antifone). Se non poteva contare sulla tecnologia, per incanalare la propagazione delle onde sonore, l’ingegno umano ha utilizzato, infatti, altri espedienti.
Dallo studio dell’architettura a quello dei materiali più adatti, per ottimizzare il suono di cantori e strumenti (che all’epoca, ricordiamolo, non erano amplificati), si è arrivati col tempo allo sviluppo di una vera e propria policoralità, che per un ascoltatore del 1500 aveva lo stesso effetto della musica 8D.
Nata come prassi tra i compositori delle Cappelle alla fine del XV secolo infatti, nel nord d’Italia e soprattutto in alcuni importanti centri del territorio della Repubblica di Venezia, la policoralità consisteva nel distribuire i cantori e gli strumenti sulle diverse cantorie, provocando un vero e proprio effetto di stereofonia per chi seguiva la liturgia dalle panchine della chiesa.
Era un effetto strabiliante per il tempo, e anche molto difficile per gli esecutori, che dovevano contare su un ritardo nel suono e che dovevano affidarsi unicamente alla mano del Maestro di Cappella così da poter andare a tempo insieme.
Considerate le misure, per esempio, della Basilica di San Marco a Venezia, e pensate che un cantore era circa a 40 metri dall’Organo.

Nelle sue Istitutioni harmoniche, importante trattato pubblicato a Venezia nel 1561, Gioseffo Zarlino dedica un passaggio alla descrizione della musica policorale, ed è interessante anche il suo compiaciuto commento finale:
“… spesse volte si sogliono cantare in Venezia nei vespri e altre ore delle feste solenni e sono ordinati e divisi in due cori o in tre, nei quali cantano quattro voci e i cori si cantano ora uno, ora l’altro a vicenda; e alcune volte (secondo il proposito) tutti insieme, massimamente nel fine: il che sta molto bene”.
Ma non è finita, perché abbiamo anche un’attestazione del 1612 di Ignazio Donati: nei suoi Sacri Concerti A 1. 2. 3. 4. & 5., pubblicati sempre a Venezia, parla dell’affascinante pratica del cantar lontano. Si tratta di una tecnica che prevedeva la spazializzazione degli esecutori, che faceva sì che il suono riempisse in modo omogeneo il luogo dell’esecuzione. Questa tecnica ancora più complicata per gli esecutori, perché non ci si affidava più alla mano del direttore, ma al loro stesso orecchio e alla loro capacità di tenere il tempo da soli.
“Nell’ultimo di questi miei concerti, ve ne sono, alcuni a 4. & a 5. voci, accomodati in doi modi da potersi cantare lontano dall’Organo, senza veder battere la battuta. Con tutto ciò non si proibisse a nissuno, che detti concerti non si possano cantare con tutte le parte in Organo, ma molto più fa bell’effetto cantar lontano.”
E oggi?
La musica in 8D o binaurale è una tecnologia dalle potenzialità infinite. Oggi abbiamo la fortuna che, solo con le cuffie e un file registrato in 8D, possiamo riprodurre quello che nei secoli passati si è ricercato con molti più espedienti e fatica. Quello che però manca nel pezzo dei Pentatonix o negli esempi che girano in questi giorni su Whatsapp – e che invece secondo noi c’era negli esperimenti di policoralità dei secoli passati – è una ricerca di sintesi tra l’effetto sonoro e il suo significato musicale, un ponte che ribalterebbe totalmente il risultato all’ascolto, rendendolo ancora più reale.