Intervista ad Alessandro Bonato

Il giovane direttore d’orchestra Alessandro Bonato racconta a Chiacchiere musicali come sta cercando di trasformare questo periodo di quarantena in qualcosa di positivo

La newsletter Chiacchiere musicali nasce per creare uno spazio di condivisione e di confronto dedicato alla musica e ai musicisti, in un periodo di particolare difficoltà dovuta alla quarantena per il nuovo coronavirus. Vista l’incertezza che tutto il mondo della musica e della cultura sta attraversando, ci è sembrata un’ottima occasione per dare risalto a questa tematica (se vuoi ricevere la newsletter clicca qui). Oggi abbiamo il piacere di chiacchierare con Alessandro Bonato, giovanissimo direttore d’Orchestra e vincitore nel 2018 del 3° premio della “Nicolai Malko Competition” per giovani direttori d’Orchestra.

Intervista a cura di Sara Ricci.

Trascrizione dell’intervista ad Alessandro Bonato

Sara: Ciao a tutti e benvenuti a chiacchiere musicali. Oggi è con noi Alessandro Bonato, direttore d’orchestra. A soli 25 anni, nel 2018, si è fatto notare vincendo il 3° premio di uno dei più importanti premi per giovani direttori e da lì ha intrapreso una brillante carriera. Come stai? Come stai passando questi giorni di chiusura?

Alessandro: Fortunatamente sto bene: in questi giorni avere la salute è un grande regalo. Sto cercando di mettere al servizio delle persone la mia esperienza facendo un po’ di divulgazione. Sto usando i social per quello che sono nati, e cioè per mettere in comunicazione: divulgando la grande musica colta non solo, e non specialmente, per i musicisti, ma anche per avvicinare un possibile pubblico a una musica che non conosceva.

S: E’ una bella cosa, che stanno scoprendo anche molte realtà che si occupano di musica.

A: Si, anche molte grandi orchestre come la Filarmonica della Scala. Visto che purtroppo non sappiamo quando saremo in grado di tornare nel nostro habitat naturale che sono i teatri, bisogna cercare di non far spegnere la fiamma della cultura, ed è giusto che noi musicisti prima di tutto teniamo viva l’attenzione su un’arte che è secolare, perché la musica esiste da sempre.

S: Com’è cambiato il tuo lavoro negli ultimi mesi, a causa di questa emergenza? Ovviamente non si può fare una previsione, ma come pensi che si evolverà la situazione nei prossimi mesi?

A: Purtroppo siamo in una situazione di stallo perché non si può né programmare né ri-programmare. Quindi il mio lavoro si basa per ora sullo studio e sull’approfondimento del repertorio, e sulle lezioni online. Molti ragazzi mi hanno contattato proprio perché, come altri colleghi, ho deciso di farle gratuitamente: mettere al servizio degli altri la propria competenza, è l’unica cosa che ci sia da fare ora; divulgare l’arte per combattere la monotonia quotidiana.

S: …Ho visto infatti che hai fatto degli approfondimenti su Beethoven, Tchaikovskij, Verdi: in base a cosa hai scelto questi artisti?

A: Ho fatto un primo ciclo di questi incontri (perché interagisco con chi partecipa) concentrandomi su artisti che mi stanno particolarmente a cuore e che ho studiato in maniera approfondita. Ho scelto di fare queste lezioni non dal punto di vista dell’addetto ai lavori, ma da quello umano, per capire chi erano i compositori come persone, perché sono arrivati a scrivere quelle determinate cose e che cosa hanno provato per riuscire ad avere questa sensibilità musicale. Ne ho fatti poi altri più specifici: una storia della direzione d’orchestra dalle origini fino ad oggi, un altro sulla Prima Sinfonia di Beethoven e un altro sui Quadri di un’esposizione di Mussorgskij. 

S: In un’altra intervista ti ho sentito dire una cosa che mi è piaciuta molto, e, anche se non era riferita a questo periodo, vi si adatta benissimo: era il concetto di “ricostruire attraverso i suoni”. Cosa ne pensi, dici che sarà possibile?

A: Gli artisti sono sempre stati il baluardo del loro paese e sono destinati a girare il mondo. Ogni volta che mettiamo piede in un centimetro quadro di un altro paese lo marchiamo: non si tratta di un’invasione, ma di una condivisione. Noi artisti siamo sempre stati i portavoce del nostro stato. Perché l’Italia è diventata così grande nei secoli? Perché tutti i nostri grandi compositori, pittori, scultori, hanno portato l’Italia in tutto il mondo. Quando si sposta l’artista si sposta anche tutta la sua storia passata, la sua patria. Quando Verdi andava al Cairo o a San Pietroburgo, si spostava anche tutta l’Italia. Noi artisti saremo non solo gli unici, ma sicuramente i più avvantaggiati per riuscire a fare questa sorta di reinassance della musica e della nostra patria: il governo dovrà capire che noi artisti, che non portiamo soldi, 

Bisogna dirlo: l’arte è sempre stata in perdita, ma una volta c’erano i grandi mecenati, che attraverso l’arte hanno voluto entrare nella storia e diventare immortali; se un mecenate apriva un teatro non lo faceva per i soldi, ma per la gloria che ne risultava.

S: Sono d’accordo, l’arte non genera introiti nel breve periodo, ma nel lungo periodo ha un grande ritorno nella qualità della vita, anche parlando banalmente del turismo.

A: …ma non va vista solo dal punto di vista economico: l’arte ti fa entrare nella storia, e solo in quel modo si può avere uno sviluppo turistico, culturale… L’arte è proprio l’unica cosa che ci può riportare alla ribalta come nei nostri 500 anni che ci hanno preceduto.

S: Tocchi un altro aspetto dello stesso discorso, e cioè che l’arte si fondi su un linguaggio condiviso: perché oggi le persone non frequentano più spesso la musica classica?

A: La musica colta, a differenza degli altri tipi di musica, non basta sentirla ma va ascoltata. Se non si riesce a capirne il messaggio e l’intensità, non si riesce ad apprezzarla fino in fondo. E’ come leggere in un’altra lingua senza conoscerne la grammatica: non si riesce a capirne le sfumature e le sfaccettature. La musica è un linguaggio con una grammatica propria, ma è anche vero che è un linguaggio universale e quindi ognuno, che sia un americano, un cinese, un africano o un europeo, può riuscire a capirla. Ovviamente bisogna mettersi in relazione con questo linguaggio, però c’è anche da dire che essendo un’arte che muove le emozioni, le emozioni le abbiamo tutti: già con questo primo approccio emotivo si può già arrivare ad averne una prima visione personale.

S: Oggi abbiamo anche altri mezzi, è più facile ricostruire più fedelmente l’intenzione originaria di un autore?

A: Prima di risponderti vorrei fare un piccolo appunto su quello che stavamo dicendo prima, e cioè sull’importanza del teatro: storicamente il teatro era un luogo di cultura, di incontro, di affari, era un marchio d’onore. I nobili facevano a gara per sovvenzionare le varie compagnie teatrali proprio per far vedere la propria importanza nella società, un po’ il contrario di quello che succede oggi. 

Anche il posto di chi investiva sul teatro è cambiato: non esistevano i cinema, non esisteva il calcio, per cui il teatro era lo sfogo e lo sfarzo della grande nobiltà. Non è un caso che tutte le corti avessero un teatro privato. 

Detto questo, oggi c’è una tale proliferazione di informazioni esatte che si riesce a ricostruire l’intenzione di un autore. Eseguire esattamente quello che un autore scrive non è il punto di arrivo ma il punto di partenza. Voi lo sapete benissimo facendo musica del Seicento: se uno fa esattamente quello che c’è scritto non sta facendo niente, perché molte cose che si davano come prassi e che cioè venivano eseguire  per il buon gusto dell’epoca noi oggi le abbiamo perse. Ma loro non avevano la necessità di scriverle: se non si studiano i trattati dell’epoca non si possono conoscere. Se io prendo un pezzo di Vivaldi o di Bach o di Corelli e lo faccio esattamente come è scritto non sto facendo quello che era l’interesse dell’autore, con tutte le diminuzioni, le cadenze e gli abbellimenti, i legati e staccati della tradizione: solo con un trattato dell’epoca posso capire. Secondo me quindi il fatto di eseguire solo ed esclusivamente quello che c’è scritto non è detto che ti faccia partire dalla verità, però è un punto di partenza. 

E’ chiaro che più si va avanti con il tempo verso i nostri giorni più la scrittura musicale è diventata puntigliosa: gli autori scrivono tutto. Cito Gustav Mahler, che scrive anche sette dinamiche diverse in una battuta, e degli asterischi con delle note per il direttore d’orchestra. Eppure c’è una frase di Mahler che sembra in contraddizione: “sulla partitura c’è scritto tutto, tranne l’essenziale”, ed è proprio questo che noi dobbiamo cercare.

S: Tornando a questi giorni che stiamo vivendo, che sono un rallentamento della nostra vita, soprattutto dal punto di vista lavorativo: si potrà ripartire nel trasmettere la passione della musica riscoprendo una dimensione più vicina, partendo dal quartiere e dalle persone che ci circondano tutti i giorni?

A: Secondo me sarà possibile, e ti dirò di più: non saremo noi che dovremo ripartire dal quartiere, ma sarà il quartiere che ripartirà da noi. Le persone si stanno accorgendo che il nostro lavoro/non lavoro, che è quello del musicista, in realtà è fondamentale. Io da casa è più di un mese che faccio i concerti dal balcone, in cui divulgo musica classica, tutti i giorni: per vari motivi un giorno non l’ho fatto e sono stato ripreso, perché loro alle 18 non vedono l’ora di andare sul balcone e fare un po’ di vita sociale all’insegna della musica. E’ un appuntamento fisso all’interno della monodia di queste giornate. La musica sta aiutando e la musica salva. Bisognerà ripartire per far riscoprire la musica prima alla famiglia, poi al condominio, poi all’isolato…e questo ci aiuterà a far capire che molte persone si sbagliavano quando ci dicevano che non servivamo a niente. Magari poi alla fine tutto ricomincerà il calcio e noi saremo alle stesse sorti di prima, ma stiamo innestando nelle persone una consapevolezza diversa.

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