Cercando Turandot

L’amore o la ragione? Un video documentario sulla celeberrima fiaba di origine persiana “Turandot”, per riscoprirla dal punto di vista storico, letterario e musicale.

La storia di Turandot ha almeno mille anni e risale all’epica, composta da uno dei più grandi scrittori persiani, Nezami, vissuto in una città ai piedi del Caucaso tra il 1100 e il 1200. La sua opera, intitolata Le sette principesse, contiene proprio la fiaba di Turandot.

Il documentario, interamente realizzato da Liviana Loatelli, Leonardo Bellesini e Piero Facci, è un percorso multidisciplinare, pensato appositamente per la scuola secondaria di secondo grado, che ripercorre la fiaba di Turandot analizzandola dal punto di vista storico, letterario e musicale, da Schiller a Puccini e Busoni, arricchita dagli interventi del M° Andrea Battistoni, il prof. Piermario Vescovo, prof. Nicola Pasqualicchio, il prof. Piero Mioli, nell’ambito del progetto Carlo Gozzi 1720-2020.

Ma in cosa consiste questa fiaba?

Nonostante sia stata modificata parecchio nel corso dei secoli dai diversi autori che l’hanno trattata, ci sono degli elementi fissi: un paese lontano e una principessa bellissima che non vuole concedere la sua mano a nessuno dei numerosi pretendenti che giungono dal padre, il re, per chiederla in sposa. 
Lei, fredda ed astuta, sottopone ai vari principi tre enigmi da risolvere, che puntualmente non vengono sciolti. Il prezzo da pagare per chi fallisce la prova è altissimo: la vita. Ben presto le teste dei principi decapitati ornano il palazzo reale e un clima di morte aleggia sulla città. Ad un certo punto arriva Calaf, un principe bellissimo, coraggioso e astuto che riesce a risolvere i tre indovinelli, sciogliendo, così, il gelido cuore della principessa che gli concede finalmente la sua mano.

Il trailer di Cercando Turandot

Quali sono stati gli autori che nei secoli si sono lasciati sedurre dal mito di Turandot e ne hanno realizzato una loro versione?

Dopo Nezami, tra il 1600 e il 1700, lo scrittore francese Francois Petis de la Croix inserisce la “Fiaba del principe Calaf e della principessa della Cina” nella sua opera I mille e un giorno. Proprio da questa raccolta, pochi anni dopo, Carlo Gozzi prende spunto e realizza la sua versione “Turandot”, poi ancora il poeta tedesco Friedrich Schiller, e il compositore Weber, che all’inizio dell’Ottocento scrisse le musiche di scena dal titolo “Turandot”. Nel Novecento, poi, la storia dell’affascinante ma glaciale principessa tornò ad affascinare alcuni compositori che ne diedero una loro versione operistica: Ferruccio Busoni (che scrisse anche una versione strumentale,
fatta di quadri musicali, intitolata “Turandot suite”) e Giacomo Puccini, che ci ha regalato delle pagine indimenticabili, tra le più conosciute e amate dell’opera lirica di tutti i tempi. Senza dubbio un ruolo centrale nella ripresa di questo mito in occidente l’ha avuto il commediografo settecentesco Carlo Gozzi, che l’ha portato in scena, e l’ha consacrato al teatro.

Uno dei punti di forza di questa fiaba è il fatto che proponga al pubblico alcuni sentimenti, alcuni contrasti su cui riflettere, come l’amore o la ragione. Altro grande tema proposto è il tema dell’odio femminile nei confronti del genere maschile, determinato da un antico trauma subito. Proprio questo aspetto psicologico e moderno sarà molto indagato dai librettisti di Puccini, cioè Renato Simoni Giuseppe Adami. Nonostante, quindi, sia una fiaba che affonda le sue radici nella notte dei tempi, è sentita come attuale nelle diverse epoche in cui è stata ripresa e rimessa in scena, drammatizzata.

Carlo Gozzi e la Turandot di Puccini

L’anello di congiunzione tra il territorio persiano in cui si è originata e la successiva fortuna europea è costituito proprio da Carlo Gozzi, che la rilancia in teatro, nel Settecento. Come vuole la tradizione della Commedia dell’arte, di cui Gozzi è un esponente, grande importanza hanno le maschere comiche, cioè dei personaggi dalle caratteristiche fisse, che verranno mantenute nelle versioni successive, ad esempio in Puccini, ma che acquisteranno tutt’altro sapore: non più comiche in sé e per sé, ma piuttosto grottesche e di mezzo carattere, che servono per alleggerire la tensione in scena.
Senza dubbio, però, la consacrazione di questa fiaba come una delle più rappresentate ancora oggi nei maggiori teatri si deve al Novecento e in particolare alla versione che ne diede Giacomo Puccini, negli anni ’20. A tal proposito i due librettisti, Simoni e Adami, hanno giocato un ruolo
centrale per diversi motivi. Innanzitutto fu proprio Simoni (critico e drammaturgo veronese già molto affermato) a suggerire a Puccini la storia di Turandot, inoltre seppero creare un libretto estremamente convincente, moderno, al cui interno trova posto una rivisitazione in chiave psichica o psicologica di alcuni elementi della fiaba originaria. Interesse nuovo acquista, pertanto, la scena centrale del dramma, cioè quella degli enigmi che Turandot sottopone a Calaf: non più elementi naturalistici o di carattere universale, ora in Puccini gli enigmi diventano elementi della vicenda stessa di Turandot, la quale diventa essa stessa il terzo enigma, proponendo in tal modo al principe di svelare se stessa e il suo atavico trauma.

Da un punto di vista compositivo, Puccini in quest’opera ha saputo affascinare il pubblico per le sue soluzioni innovative e al contempo amate dalla tradizione, in quanto riesce a creare delle pagine indimenticabili, secondo la sua consueta struggente vena melodica che ci regala arie quali “Nessun dorma” affidata al tenore o le due arie della tenera e dolce Liù, “Signore ascolta” e “Tu che di gel sei cinta”. Ma al contempo, Puccini, non rimane indietro rispetto alle più grandi innovazioni che il linguaggio musicale stava subendo a livello europeo, grazie a Stravinskij e a Schoenberg: ecco, dunque, che nelle pagine di Turandot trovano posto anche sonorità nuove, con scale pentatoniche, ma anche elementi del genuino folklore cinese, che il compositore aveva potuto ascoltare da un carillon cinese a lui donatogli da una conoscente. L’orientalismo del resto era una moda e Puccini ne rimane coinvolto, come sappiamo non solo per questa opera.

Da ultimo non si può non sottolineare la componente scenica, maestosa di quest’opera, particolarmente adatta alle rappresentazioni areniane, grazie anche all’importanza che riveste il
coro: un coro diverso in base ai singoli momenti, che può rappresentare la collettività, ma anche le diverse possibilità sceniche, associando all’aspetto visivo anche una caratterizzazionesonora dettagliata, come nel coro di voci bianche, cioè di bambini, oppure nel coro solo di soprani o solo di bassi.

Quest’opera, andata in scena per la prima volta postuma, nel 1926 alla Scala, con la direzione del maestro Arturo Toscanini, conclude effettivamente un’epoca, l’epoca della fioritura operistica italiana, che continuerà anche successivamente a Puccini, ma che approderà a lidi diversi rispetto a quella cantabilità e particolare felicità melodica che hanno reso questo genere così fecondo e amato
dal grande pubblico.

Ringraziamenti 

Il progetto Carlo Gozzi 1720-2020 è reso possibile grazie al contributo della Regione del Veneto e grazie agli interventi e la preziosa collaborazione con il Prof. Pier Mario Vescovo, il Prof. Nicola Pasqualicchio, il M° Andrea Battistoni, il Prof. Piero Mioli, la Prof.ssa Orietta Salemi e l’Associazione Veronesi nel mondo. Grazie inoltre alla Biblioteca Civica del Comune di Verona. Grazie infine alla Fondazione Arena di Verona, l’Archivio Galileo Chini l’Archivio Ricordi per la gentile concessione delle immagini.

Gli altri eventi del progetto Carlo Gozzi 1720-2020 li trovi a questo link.

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